Dalla miseria fangosa del suo villaggio, dove ha cominciato a lavorare fin dall’infanzia raccogliendo tabacco nelle piantagioni, una ragazza moldava, Agafia, si sottopone a un lavoro massacrante che la porta oltre il circolo polare artico, in una Siberia senza legge e senza dignità, su treni che masticano gelo e violenza. Ma questo è solo l’inizio del viaggio: abusi, pestaggi e tradimenti saranno le prossime fermate. Una fuga disperante, che di orrore in orrore la porta a piedi scalzi su frontiere spinate, per chilometri di attese, di inganni, di sfinimenti. E alla fine, in un'Italia che raccoglie e schiavizza i brandelli rimasti, distogliendo per pudore lo sguardo. Clandestina nel nostro Paese, Agafia impara, insieme alla lingua, l’umiliazione di chi vive senza diritti, senza protezione, e senza tregua. La vita racchiusa in una valigia. Prima a Roma e poi a Bologna, passa le notti nelle stazioni, e i giorni a consumare scarpe in cerca di un lavoro, un rifugio, un letto: un miraggio per cui sarà disposta anche a vendersi. E quando diventa finalmente “badante”, scopre di essere finita nell’ennesima trappola, fatta di condizioni disumane a cui non può né vuole sottostare. Ma è proprio sul fondo del baratro che scopre anche l’amore, infelice e sventurato come tutta la sua esistenza, fratellanza di ferite e specchio di dannazione, ma capace di nutrire l'anima. Solo allora Agafia sarà pronta per il suo ultimo viaggio…
Tratto dal libro
"La cosa che odio di più della mia vita sono le valigie. Dalla prima volta che sono partita dal villaggio sono diventate il mio incubo. Per anni ho girato con la vita chiusa in una valigia, trascinata da una meta all’altra. Cose, vestiti, ricordi, tutto sempre con me, ogni mese, ogni anno sempre più pesante. Quanti manici ho rotto nel trasporto! Che dolore alle spalle, alle braccia, alle dita. Macigni da spingere, issare. La mia identità chiusa con lo spago in una scatola. La mia precarietà appresso, che mi insegue, come un’ombra. Ogni azione, ogni decisione condizionata dalla sua presenza. Non sono più libera di fare una corsa, di entrare in un negozio, di sognare ad occhi chiusi. Il pensiero costante corre a lei: dove metterla? come assicurarmi la sua integrità, e insieme alla sua, la mia salvezza? Poi, quando finalmente la apro, il risultato di tan-ta fatica è un’interiorità spiegazzata e maleodorante. La pochezza del mio universo salta agli occhi impietosa. Poche cose ridicole conservate con cura, come prove patetiche della mia esistenza. Chiuse in una valigia. Vorrei gettarla giù da un ponte e stare a guardare mentre affonda. Per vedere cosa resta di me."
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