Chi, come me, conosce Franco Capasso da sempre, sia nel privato familiare, nei suoi spostamenti da Boscoreale a Terracina, sia attraverso la parola sgranata della sua pagina, i suoi numerosi libri pubblicati a fatica, può affermare che per lui la poesia è stata, ed è, una necessità, una totalità e una fatalità su cui scommettere tutto subito, senza remora e riserva alcuna. Sin dall'inizio egli ha puntato tutto sul suo miraggio, senza esitazioni. E la poesia gli è germinata, cresciuta e divampata dentro come una fiamma inarrestabile. Lo ha divorato tutto, e dall'intemo.
In questa passione violenta, forsennata, folle è racchiuso il suo tratto più riconoscibile: egli è anomalo, difficilmente ingruppabile, poco ortodosso alle mode, refrattario agli imperativi ideologici, sganciato da ogni tendenza e forma di società letteraria.
Oggi, ridotto a mero simulacro senz'eco, si guarda all'intemo in un bilancio compendioso, attraversa le sue stanze mentali disabitate, i suoi molteplici ripiani e, in ascolto delle voci memoriali, trova che nulla si è avverato. Insieme all'ambizione frustrata, scopre una catena infinita di fallimenti e il sacrificio dei propri desideri a carovana: ritrova la sua voce solitaria in un andirivieni ossessivo di conflitti irrisolti, d'immagini frante, di bagliori accennati.
Ma il viaggio, pur negativo, continua: è rivolto a non voler perdere il nome delle cose, a sprigionare e inseguire sullo sfondo un puro barbaglio di colori, guizzo vitale e ancoraggio psichico fondamentale. Sempre al limite e nel segno dell'estremo, in un movimento arrischiante, Capasso sprofonda e schiude alla parola un orizzonte in fuga, dove l'elemento primordiale e postmodemo riemergono in sequela caotica, si rincorrono, si fanno cenno fino a coesistere in una strana convivenza. Un io confessivo, strettamente autobiografico ma non per questo meno visionario, raccoglie le sue schegge disperse di fronte a una violenza collettiva in atto. Si scende senza cadere in una luce contratta, dentro il ritmo di un precipitarsi cieco, con lo sguardo ferito in attrito di frattura, dove i colori sono strillati e tutto ritoma a ritroso in turbamento.
Alessandro Carandente
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