Una liquida, vivida operina d’annata, scritta immediatamente a ridosso del folgorante esordio dell’Ipertrofico (1980), restaurata qui dall’autore per un nuovo e sempre avvenire final cut.
«Immagino di aver iniziato a comporre credibilmente testo, quando ho cominciato a "vedere", nel suo concreto, l'acqua. Trascorrevo magnetici minuti interminabili a provare ad accogliere in me (comprendere, solo in questo senso etimologico) il senso dello scorrere o del frangersi, la forma delle correnti più ancora che delle onde, l'immagine (impossibile) della fluidità, la vertigine stessa di quell'inattingibile specie di visione. È così che sono nato (allo scrivere). È da questa materia che la (mia) voce ha incontrato la sua forma d'onda, il suo flusso»
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