Una voce parla al telefono e, già dalla prima battuta, si rivelano la sua identità e quella dell’interlocutrice: «Pronto, mamma?». Poi, in otto lunghe telefonate che occupano quattro giorni a marzo, ora con frasi brevi e brevissime, ora interrotte dalla voce che non si sente (e non si legge) ma che s’indovina, ora in appassionate perorazioni o in vibranti accuse… battuta dopo battuta, si delinea un rapporto conflittuale figlia-madre. Si sfaldano progressivamente le maschere familiari innalzate dall’educazione, dal bon ton, dalle convenzioni sociali, da una rete invischiante di non detto, di mistificazioni, di ipocrisie, di ricatti affettivi… Nulla sembra salvarsi nell’indagine impietosa della figlia – come motore della vicenda c’è un fratello morto, forse misteriosamente – che travolge affetti, ricordi, antiche amicizie, rancori, paure, divieti, mettendo in scena personaggi d’intenso spessore emotivo. Su tutti svettano la figura di Maria, la solitaria, e di Giacomo, il ragazzo fulcro di una duplice contesa “amorosa”.
Nella lunga lettera finale, la decisione della figlia di rimanere alla Ca’ Rossa con Maria, eletta a vicemadre, lascia aperti perlomeno due interrogativi: il punto di vista della figlia e il giudizio senza appello sulla madre non finiscono per cristallizzare irrimediabilmente i ruoli? E riuscirà la figlia ad affrancarsi dalla trappola del je accuse! diventando finalmente un’adulta?
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