Il saggio di Unger, Politica e metafisica, uscito nel 1921 a Berlino, deve la sua notorietà al forte interesse che Walter Benjamin dimostrò immediatamente per il libro – in una lettera dello stesso anno all’amico Scholem, definisce questo testo “lo scritto sulla politica più significativo del momento” – e per il suo autore. La fascinazione esercitata sul giovane Benjamin da quest’opera singolare, rimasta pressoché ignorata, è testimoniata nei suoi scritti e nelle annotazioni degli anni ’20. Il testo rappresenta una tappa importante di quella riflessione sulle condizioni di possibilità di una «nuova politica» che è stata avviata dall’espressionismo tedesco nell’ambito della sua precoce ricezione del nichilismo nietzscheano e che si è sedimentata approssimativamente nell’irrisolta semantica della “bio-politica”. La rilevanza genealogica del testo consiste nell’enfasi riservata a una politica non statuale, polarizzata tra una logica del rito e un trattamento metafisico del biologico. La trama teorica del saggio si articola, coerentemente in tre parti: un confronto critico con le correnti rappresentazioni della politica ricondotte al principio del “compromesso” (costituzionale); un’elaborazione del problema psico-fisico in direzione di un’antropologia politica; una definizione del concetto di popolo a margine di categorie teologico-politiche di matrice vetero-testamentaria.
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