Partendo da un’interrogazione sul significato e l’eredità del ’68, Nancy delinea la propria idea di democrazia. Tra il Maggio francese e la “verità” della democrazia c’è infatti un legame profondo, perché il ’68, che aveva tra i suoi obiettivi polemici non solo il capitalismo, ma anche una certa forma della politica e della democrazia gestionale, ha inventato una nuova idea della democrazia compatibile con il comunismo nella sua forma più alta. “La democrazia non ha sufficientemente capito che doveva essere anche ‘comunismo’ in qualche modo, perché altrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessità e dei compromessi, priva di desiderio, cioè di spirito, di soffio, di senso”. La “democrazia” non è, come nelle teorie politiche del mondo antico, una forma di governo determinata né, come in quelle della modernità, un principio della politica che si esaurisce nella rappresentanza parlamentare. La democrazia è piuttosto una sorta di condizione preliminare che mette in gioco il destino dell’uomo nel suo complesso e apre lo spazio all’invenzione non di fini ultimi, ma di mezzi in grado di elaborare nuove forme non solo della politica, ma anche dell’arte, della letteratura, dell’esistenza umana individuale e collettiva.
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