Non può stupire l’accoglienza che alla storia partigiana riserva un siffatto nostro tempo, dominato com’è dalla sensibilità neoliberale. Che interesse può avere oggi ricordare la loro esperienza fatta di accettazione e di disprezzo della sofferenza individuale, di coraggio, del dare e del subire la morte come normalità quotidiana? Niente osta a che tale esperienza sia catalogata assieme agli orrori di cui il Novecento avrebbe il primato. Odiosa come odioso pare questo secolo.
Obiettare che, stando alla lezione di Machiavelli, il nostro tempo è semplicemente nullo per la politica; obiettare che questa epoca politicamente buia può incolpare di orrori la precedente solo perché è irresponsabile dei propri – quelli fatti di stermini di interi paesi per fame, sete e malattie; obiettare, infine, che senza passioni politiche si può solo dare la stura a passioni identitarie, etniche e religiose, queste sì del tutto irrazionali e insensatamente aggressive; si potrebbe concludere, allora, che quella dei partigiani, come le altre passioni politiche che hanno trasportato il XX secolo, meriti ancora di essere meditata e valutata come fonte inevitabile per la ricerca di nuove idee e di nuove passioni per la politica: tutto ciò, certamente, è possibile. E sostenendolo si può anche sperare di riscuotere ascolto. Ma non consensi tali da far opinione.
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