Si fa sempre più urgente l’esigenza di capire in che epoca stiamo vivendo. Non più nel vecchio mondo, ma nemmeno in un “altro mondo” o in un “nuovo mondo” (dal momento che il ’900 ha visto imporsi e poi dissolversi sia l’idea di rivoluzione, sia quella di alternativa). Ormai tramontata, con la seconda metà del XIX secolo, anche l’epoca delle grandi teorie estetiche, è accaduto che da un lato il pensiero filosofico abbia avvertito in maniera sempre più vitale il bisogno di guardare alle espressioni dell’arte e a quanto continua ad affiorare nell’arcipelago dell’arte contemporanea, mentre, nel contempo, l’arte ha sempre più riscoperto ed esibito il suo essere vita pensante, che si figura nell’epifania di un’opera, la quale mantiene una sua insopprimibile aura. Per questo, la via migliore per impostare rigorosamente la domanda sull’odierno modo di abitare lo spazio/tempo sembra essere la pratica pensante di un “guardare attraverso” (come sosteneva E. Garroni) – onde evocare il mistero dell’invisibile sfondo in cui è immerso il mondo – il quale cerca di collocarsi “tra” la riflessione filosofica propriamente detta e l’ascolto del “linguaggio delle cose mute” proprio dell’opera d’arte. Un tale esercizio di dialogo tra filosofia e arte, in cui questo libro si cimenta, si sviluppa attraverso l’interrogazione di alcune parole-guida, che appaiono decisive tanto per la riflessione filosofica quanto nelle pratiche artistiche del contemporaneo. Esse sono: opera, materia, colore, violenza, comunicazione, negazione.
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